Poiché la Siria è devastata dalla guerra, i suoi cittadini continuano a spostarsi nelle nazioni vicine: Giordania, Libano, Turchia e Iraq. Alcuni di loro fuggono addirittura verso l’Europa, ma, anzichè affidarsi al tradizionale percorso a piedi, scelgono di prendere la “scorciatoia” del Mar Mediterraneo e procedere attraversando la Grecia.
Il percorso che in un primo momento sembra loro più veloce, si rivela in realtà molto insidioso, a causa del fatto che le barche su cui viaggiano questi profughi sono spesso instabili e sprovviste del numero di giubbotti di salvataggio necessario a salvare la vita a tutti i passeggeri in caso di pericolo.
Per cercare di salvare la vita al maggior numero possibile di profughi siriani che giungono sull’isola di Lesvos, la Guardia Costiera greca ha iniziato a servirsi dell’aiuto di un robot di nome EMILY (acronimo di Emergency Integrated Lifesaving Lanyard).
La Guardia Costiera di Lesvos ha chiesto all’ “A&M University’s Center for Robot-Assisted Search and Rescue” del Texas di sviluppare il robot EMILY, che prima d’ora non era mai stata utilizzato in situazioni d’emergenza simili a quelle dei profughi siriani.
Il cavo che consente ad EMILY, il robot bagnino, di attaccarsi ad una barca o alla riva misura 609 metri, dunque l’operatore di salvataggio può guidarlo verso i migranti dispersi in mare e poi portarli in salvo.
Con una carica completa EMILY può correre a 20miglia all’ora per circa 20 minuti, un arco di tempo sufficiente per salvare un buon numero di persone.
Con EMILY nel team della Guardia Costiera, gli addetti al salvataggio in mare potranno tra l’altro accordare la precedenza nel salvataggio a coloro che non sono in grado di afferrare la tradizionale boa di salvataggio senza assistenza.
Insomma, EMILY è un chiaro esempio di come la tecnologia può attivamente contribuire ad aiutare l’uomo in tutti i campi della vita, persino in casi di salvataggi delicati come quelli rivolti ai profughi siriani.