Ciclica come non mai, soprattutto in questi anni di crescita del mercato videoludico online, ritorna una delle domande più spinose in materia: i videogiochi creano dipendenza? A porre nuovamente il quesito è questa volta ilParlamento Inglese, ma non si tratta di una provocazione. Come si legge nel tweet qua sotto, la domanda è rivolta proprio a gamers, sviluppatori ed esperti del settore. Il mondo del gaming va regolato?
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L’eterno dilemma salta di nuovo fuori: i videogiochi danno dipendenza?
Calling all gamers, game designers and experts: should gaming be regulated? What makes the UK a world leader in gaming and how can the industry be supported? Share your views with us now via our website, or retweet and tag a friend who can help >> https://t.co/7LMdqIYRKY pic.twitter.com/6SfBZqkpxw
— Digital, Culture, Media and Sport Committee (@CommonsCMS) 21 gennaio 2019
La proposta arriva dalla divisione Digital, Culture, Media and Sport Committee, il cui interesse è capire se possa esserci o meno unlegame fra videogiochi e gioco d’azzardo. Un dubbio che per alcuni potrebbe risultare alquanto azzardato ma che, alla luce di certe dinamiche, non è poi così banale. Questa inchiesta segue lo studio condotto dall’OMS, ente che ha proposto l’inserimento del cosiddetto “gaming disorder“, quello che potremmo rinominare come videoludopatia, all’interno dell’elenco della Classificazione Internazionale delle Malattie. Ecco come viene definita questa presunta patologia dall’OMS:
Il disturbo da gioco è caratterizzato da un pattern di comportamento nel gioco, online o offline, manifestato da: 1) compromissione del controllo sui giochi (es. inizio, frequenza, intensità, durata, risoluzione, contesto); 2) crescente priorità data al gioco con precedenza su altri interessi di vita e attività quotidiane; e 3) continuazione o escalation dei giochi nonostante il verificarsi di conseguenze negative.
Per quanto per alcune fasce anagrafiche possano fare spallucce e non rivedersi in questi comportamenti (come il sottoscritto), ciò non significa che un fenomeno del genere vada sottovalutato. Basti pensare alla Cina e ai recenti blocchi per il pubblico più giovane, il quale è quello più potenzialmente a rischio.
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