Negli ultimi giorni Facebook è stata invaso da una nuova catena, o “sfida” com’è stata ribattezzata, simile a tante viste nei mesi e anni passati; stavolta però non si tratta di elencare titoli di libri o film, ma di postare (recita il testo della catena) “tre foto che vi rendono fiere di essere mamme”, si tratta insomma di una sorta di “sfida delle mamme”.
Questa sfida ha fatto davvero molto parlare di sé, soprattutto in modo polemico, dal momento che la polizia postale ha invitato le mamme a non pubblicare i volti dei loro bambini per evitare di arricchire ulteriormente di materiale, la già nutita schiera di foto che finiscono in mano (o meglio nei computer) di malintenzionati e maniaci della pedopornografia.
Un’obiezione più che condivisibile, che ha scatenato tuttavia un imprevisto e acceso dibattito, combattuto a suon di post sui social, tra coloro che ritengono eccessivo l’allarme della polizia dato che, “anche Mark Zuckerberg, che di Facebook se ne intende, pubblica spesso foto della sua adorata primogenita Max”, e coloro che ritengono eccessivo un simile allarmismo.
La polemica va a toccare nervi già scoperti, in quanto del rapporto tra giovanissimi e tecnologia si parla sempre più spesso, a causa soprattutto dell’età precoce in cui i bimbi si avvicinano all’uso, o meglio all’abuso, della tecnologia.
Eppure, i primi a rifiutare totalmente il contatto tra i propri figli e la tecnologia, sono coloro che hanno contribuito ad innovare questo campo e a portarlo ai livelli altrissimi in cui si trova ai giorni nostri.
Steve Jobs ad esempio, vede il suo nome indissolubilmente legato alla crezione di dispositivi quali iPod, iPad e iPhone, rinomati ed utilizzati in tutto il mondo. Eppure Jobs aveva le idee chiare quando si trattava di far utilizzare la tecnologia ai propri figli: essi dovevano rimanerne quasi estranei.
Nel 2010, in seguito al lancio del primo iPad, il New York Times ha pubblicato un’intervista rilasciata all’allora CEO di Apple, durante la quale gli è stato chiesto cosa i suoi figli pensassero del nuovo dispositivo, la risposta di Steve Jobs è stata la seguente: “Non lo conoscono. Dobbiamo limitare l’uso della tecnologia dentro casa da parte dei nostri bambini”.
E certo Jobs non è il solo a pensarla così; dello stesso avviso sono anche Chris Anderson, ex direttore del magazine Wired e coofondatore di Robotica 3D, che ha dichiarato: “conosco i pericoli della tecnologia, li ho vissuti sulla mia pelle e non voglio che accada lo stesso ai miei figli” edEvan Williams, fondatore di Twitter, e sua moglie Sara, che hanno circondato i figli di libri e non di tecnologia.
La domanda sorge spontanea: se i grandi della tecnologia, coloro che l’hanno innovata nel profondo, riconoscono i suoi rischi e le sue potenzialità negative, quale altra prova serve a tutti quei genitori che preferiscono imbambolare i propri figli davanti a tablet e smartphone piuttosto che dedicare loro un po’ di tempo, o occuparli in maniera differente e più proficua?
Il tempo da dedicare alla tecnologia aumenta in proporzione con l’età, ma non deve mai superare una certa soglia, soprattutto durante l’infanzia; del resto non è detto che se al giorno d’oggi tutti i bambini vivono circondati e totalmente immersi nella tecnologia, il fatto di non possedere dispositivi di vario genere sia necessariamente una diversità di segno negativo.