Un nuovo rapporto di Amnesty International sostiene Apple, Samsung e Sony non si sono impegnate sufficientemente nel garantire i controlli di base necessari per vietare il lavoro minorile nell’ambito dell’estrazione di minerali.
La relazione si concentra fondamentalmente sull’estrazione del cobalto nella Repubblica Democratica del Congo, cobalto che viene impiegato consistentemente nella produzione delle batterie agli ioni di litio. Le 87 persone intervistate sostengono in maniera unanime che il cobalto viene estratto da bambini piccoli, di circa sette anni, prima di essere venduto alle grandi imprese minerali come la “Congo Dongfang Mining”, la “Zhejiang Huayou Cobalt Ltd” e la “Huayou Cobalt”.
Queste aziende raffinano a loro volta il minerale per poi venderlo alle società della Cina e della Corea del Sud, che lo utilizzano per la produzione di batterie. Amnesty International sostiene altresì che Apple, Samsung e Sony utilizzino nei loro dispositivi, componenti realizzate con il cobalto estratto dalle suddette operazioni.
Le tre aziende si sono dette ovviamente disposte a cessare qualsiasi rapporto lavorativo con aziende che sfruttano il lavoro minorile e Sony ha anche aggiunto che sta già lavorando con i fornitori per affrontare le questioni relative al rispetto dei diritti umani e delle condizioni di lavoro adeguate.
Le ricerche condotte da Amnesty International rivelano che 40.000 bambini lavorano nelle miniere della Repubblica Democratica del Congo, e che alcuni bambini recentemente intervistati sostengono di lavorare fino a 12 ore al giorno con un guadagno che varia da 1 a 2 dollari al giorno. Dal rapporto si evince poi che i bambini sono esposti a condizioni di lavoro gravose, spesso esposti a gas e polveri pericolose.
Non è certo la prima volta che le grandi aziende vengono accusate per lo sfruttamento del lavoro minorile, Samsung ed Apple, ad esempio, sono state già denunciate in passato per lo stesso motivo.
“I milioni di persone che godono dei benefici della tecnologia si chiedono raramente cosa ci sia dietro la produzione di quei prodotti. Da molto tempo ormai i grandi marchi del settore hanno una responsabilità nello sfruttamento delle materie che compongono i loro dispositivi”, ha dichiarato Mark Dummett, ricercatore del business e dei diritti umani di Amnesty International; “aziende con fatturati da 125miliardi di dollari devono essere necessariamente in grado di rendere conto della provenienza e del metodo di lavorazione dei materiali con i quali esse andranno ad assemblare i loro prodotti”, ha aggiunto poi Dummett.