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Facebook avrebbe “truffato” migliaia di bambini per 35 milioni $ di acquisti in-app

Se confermata, un’altra tegola potrebbe presto abbattersi su Facebook. Una piattaforma, quella di Mark Zuckerberg, che appare sempre meno trasparente, stando ai documenti interni trapelati in seguito ad una class action intentata lo scorso 2016. Secondo quanto contenuto in essi, il social avrebbe fatto finta di nulla sull’annoso problema degli acquisti in-app effettuati dai bambini.

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Acquisti in-app fatti da minori: Facebook avrebbe incoraggiato gli sviluppatori

La documentazione comprende dei memo interni piuttosto preoccupanti, vista anche la brutta piega che Facebook ha intrapreso in seguito allo scandalo di Cambridge Analytica. Secondo quanto riportato, l’azienda sarebbe stata ben conscia del suddetto problema, ma non solo non avrebbe fatto nulla per arginarla, ma l’avrebbe addirittura cavalcata per gonfiare le casse societarie.

Si parla, infatti, di Friendly Fraud, una pratica con cui incoraggiare gli stessi sviluppatori di giochi ed app a permettere ai minori di spendere soldi senza che i genitori potessero venirne a sapere. Minori che, spesso e volentieri, non si rendevano nemmeno conto di star spendendo soldi reali. Questo a causa del fatto che, senza che i parenti ne fossero coscienti, il sito salvasse i dati della carta di credito, per poi riutilizzarli rapidamente all’evenienza.

In tutto ciò, un gruppo di sviluppatori avrebbe creato anche un tool per arginare questa problematica. Ma la stessa direzione avrebbe negato la possibilità di implementarlo, in quanto l’obiettivo era quello di massimizzare i profitti. La stessa Rovio, casa di produzione del celebre Angry Birds, segnalò un’ondata anomala di rimborsi, mentre altri dipendenti proposero di richiedere almeno il numero della carta per pagamenti superiori ai 75$.

E anche quando i genitori si accorgevano del danno e chiedevano il rimborso, Facebook ha sempre sviato il problema, rimbalzando la palla a banche e autorità, cercando così di scoraggiare gli utenti. E anche nel caso fossero riusciti ad avere il rimborso, questo sarebbe consistito unicamente in valuta virtuale anziché reale.

Per concludere il pessimo quadro generale, risulta che i tassi di chargeback, ovvero relativi allo storno o all’annullamento di pagamento da parte del cliente, siano così alti da rientrare nella categoria di business ingannevole, stando ai parametri dell’FTC (Federal Trade Commission). Il tutto si tradurrebbe in un totale di 35 milioni di dollari provenienti da account di minorenni.

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