La dipendenza dei videogiochi è stata, senza dubbio, una delle tematiche più discusse degli ultimi anni. Nonostante numerosi dibattiti e punti di vista differenti, tuttavia, si è riusciti ad arrivare ad una conclusione. La cosiddetta “dipendenza da videogiochi”, infatti, è entrata ufficialmente all’interno dell’International Classification of Diseases o, più banalmente, classificazione internazionale delle patologie.
Dopo l’ultimo aggiornamento del documento nell’ormai lontano 1990, la World Health Organisation ha deciso di dare spazio a questa nuova problematica a partire dal 2018.
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Prima di cadere in fraintendimenti non voluti, è altrettanto importante fare una precisazione: un appassionato di videogiochi non deve essere collegato a questo tipo di patologia. La problematica sorge quando non si sente più il bisogno di entrare in contatto con il mondo esterno, quando non si è più coscienti delle proprie azioni, quando si trascurano salute e problemi personali o altro.
Esattamente come altre dipendenze, anche quella legata ai videogiochi potrebbe non portare disturbi apparenti. Proprio per questo motivo, i professionisti del settore devono essere in grado di riconoscerne tutti i sintomi. “La maggior parte delle persone che giocano ai videogiochi non hanno un disturbo, così come la maggior parte di quelle che bevono alcolici. Però, in alcune circostanze l’abuso può portare ad effetti collaterali“: queste sono le parole di Vladimir Poznyak, uno dei membri del Department of Mental Health and Substance Abuse del WHO.
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Gli stessi dati dell’ESET furono decisamente preoccupanti: considerati 500 giocatori, si evinse che oltre il 10% aveva sessioni di gioco comprese tra le 12 e le 24 ore. Si tratta, ovviamente, di numeri che devono fare riflettere sulla concreta esistenza di questa patologia.
Finalmente, dopo molti anni, questa problematica è stata ufficialmente riconosciuta. A partire da oggi e per il futuro dobbiamo promettere soltanto una cosa: cercare di aiutare a combattere questa dipendenza.
“Gioca responsabilmente“.
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