Un argomento di cui spesso e volentieri ci troviamo a parlare sulle nostre pagine è il comparto audio degli smartphone, argomento tanto caro ad una buona nicchia d’utenza appassionata. Molte volte vediamo i nostri lettori lamentarsi della qualità audio degli smartphone in commercio, con frasi ricorrenti come “Eh ma non ha un chip audio dedicato!”. Ma quali sono i fattori che determinano la qualità audio?
Partiamo dalle basi: il cuore di ogni dispositivo è il SoC il quale, qualunque esso sia, integra un DAC, sia che si tratti di un Qualcomm, un MediaTek, un Kirin e così via. Quindi sì, il DAC è una componente sempre presente nel chipset e di conseguente presente su qualsiasi smartphone in commercio, anche perché, se non ci fosse, non uscirebbe nessun suono dal terminale.
Tuttavia, alcuni produttori integrano, più o meno di frequente, chip audio dedicati fabbricati da aziende specializzate, come ad esempio Cirrus Logic, Wolfson o Asahi Kasei, giusto per fare qualche nome. Il loro utilizzo non è comune per alcuni motivi, fra cui principalmente il maggior costo di produzione dello smartphone e l’ingombro a livello dimensionale all’interno di smartphone sempre più sottili, oltre ad un maggior consumo energetico.
Ma quali differenze intercorrono effettivamente fra l’affidarsi al DAC presente di default nel chipset o ad un chip dedicato? Spesso e volentieri, infatti, vediamo nascere diatribe senza, però, avere ben chiare le idee in merito.
Come dice il nome stesso, un DAC (Digital to Analog Converter) è una componente del SoC (System-on-a-Chip), il cui compito è quello di ricevere un segnale digitale e convertirlo in analogico. Semplificando, la musica si propaga nell’aria sotto forma di onde sonore, le quali, in fase di registrazione, vengono captate dagli appositi microfoni e trasformate in segnali elettrici analogici. I files ottenuti, ovvero le tracce audio, possono essere “immagazzinate” in due modi, ovvero analogico (ad esempio su vinile) o più comunemente in digitale (CD o hard disk).
Nel caso a noi interessato, ovvero quello digitale, si ottengono dei files più o meno compressi a seconda del formato utilizzato, che sia FLAC, WAV, MP3 o via dicendo. Quando andiamo ad ascoltare una traccia audio sul nostro smartphone, questo file viene inviato al DAC, in modo da essere rielaborato da digitale ad analogico ed essere veicolato tramite speaker o auricolari.
Ci teniamo ovviamente a specificare che il DAC di per sé non basta a darci un’indicazione assoluta della qualità audio, in quanto bisogna tenere in considerazione l’ottimizzazione svolta dal produttore, soprattutto software, ma è comunque un utile riferimento. Chiaramente l’esperienza utente è dettata molto anche dalla compressione dei files audio che andate ad ascoltare, oltre alla qualità delle cuffie utilizzate, ma questo è un altro discorso.
Queste sono le specifiche tecniche in cui più frequentemente vi imbatterete:
Fatta questa premessa, arriviamo alla parte più interessante, ovvero quella pratica. Partiamo da un primo esempio, prendendo in esame lo Snapdragon 821 di Qualcomm. Questo chipset lo troviamo a bordo sia di OnePlus 3T che di Google Pixel, perciò potrebbe venir da pensare che la resa audio sia la medesima visto che nessuno dei 2 integra DAC dedicati che non siano quello di Qualcomm. In realtà, analizzando i test di registrazione eseguiti dal noto portale GSMArena, è possibile notare come il flagship di OnePlus si comporti peggio (seppur non di troppo) del Pixel, soprattutto per quanto riguarda la pulizia del suono.
Un ulteriore esempio lo troviamo nel confronto fra LG G5 e Samsung Galaxy S7 (in versione Exynos). Osservando nuovamente i test di GSMArena, vediamo come le performance audio offerte da S7 non siano così distanti qualitativamente da quelle di G5, restituendo addirittura un miglior effetto stereofonico rispetto al DAC esterno Bang & Olufsen di LG.
Concludiamo con un confronto più ampio fra dispositivi con SoC differenti ma soprattutto contenente uno dei terminali più acclamati in ambito audio, l’LG V20 che, ricordiamo, integra un Quad DAC ES9218 Sabre Pro, da noi testato in fase di recensione. Nella tabella sottostante lo vediamo messo a paragone con Samsung Galaxy Note 7 (Exynos 8890), Huawei Mate 8 (Kirin 950), Nexus 6P e Sony Xperia Z5 Premium (Snapdragon 810). Da notare come, ad eccezione di V20, tutti facciano affidamento al DAC integrato nel chipset.
Verrebbe quasi scontato pensare, quindi, che LG V20 predomini in tutto e per tutto. Invece, i test svolti ci mostrano come uno dei migliori in questa lista sia il Mate 8, il cui DAC integrato nel Kirin 950 riesce in quasi tutti gli ambiti a comportarsi meglio del Quad DAC dedicato del V20, sia per quanto riguarda la risposta in frequenza che il range dinamico, la pulizia sonora e l’effetto stereofonico. Chi l’avrebbe mai detto, vero?
Insomma, qual è il punto di tutto questo discorso? Il senso di questo articolo non vuole certo essere quello di decretare quale sia il miglior smartphone in ambito audio (per quello ci sarà un’altra occasione), quanto piuttosto di farvi comprendere come il mondo dell’audio sia talmente complesso, articolato ed anche a tratti soggettivo da non poter stabilire vincitori basandosi a priori soltanto sull’avere o meno un chip audio dedicato.
Ci sono così diversi parametri da tenere in considerazione oltre al semplice inserimento di un DAC dentro ad uno smartphone, come per esempio il posizionamento sulla scheda madre ed eventuali interferenze con il resto della componentistica, la cavetteria utilizzata, il lavoro software svolto dal produttore e così via. Perciò il nostro consiglio è: prima di finire in giudizi affrettati, leggete, informatevi e non basatevi soltanto sulla scheda tecnica.
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