Ormai si perde il conto di quante volte in passato i media mainstream hanno associato un qualche tipo di attività criminale al mondo dei videogiochi. “Sono troppo violenti” è il monito che solitamente accompagna questa tipologia di accuse ed il recente caso della baby gang di Monza non fa differenza. Stando a quanto riportati dai principali giornali italiani, i ragazzi coinvolti si sarebbero ispirati a GTA, il celebre gioco di Rockstar Games, per le proprie nefandezze.
Conosciuti ai più come “Compagnia del Centro” o “Compagnia del Ponte“, il gruppo di 6 persone, quasi tutte neo-maggiorenni, ha spaventato per settimane il circondario di Monza, minacciando o rapinando gli ignari passanti. Ma non voglio concentrarmi sugli atti in sé, ovviamente da condannare secondo quanto previsto dalle nostri leggi, dato che non è questo il posto dove parlare di triste cronaca.
Vorrei piuttosto concentrarmi sull’associazione con GTA, ormai diventata quasi un leitmotiv in situazioni come questa. Cercando fra le varie fonti online, di riferimenti al gioco di Rockstar non si fa quasi minimamente accenno, se non con un vago “ne parlavano al telefono“. Ma non vediamo citate né frasi specifiche dette dagli indagati né tanto meno dei riferimenti espliciti alla presunta ispirazione che sarebbe sfociata in questa attività criminale.
Insomma, nel 2019 il dover ribadire che i videogiochi non fanno diventare persone violente è un po’ come fosse il nuovo “non ci sono più le mezze stagioni”. Specialmente quando sul tavolo della discussione non si porta nulla di concreto, se non congetture basate sul sentito dire e sulle solite chiacchiere da bar. Trattandosi di ragazzi molto giovani, è ovvio che fra gli argomenti di discussione ci sia un gioco come GTA, che punta proprio ad un target del genere. Ma da qui a voler nuovamente criminalizzare il gioco ce ne passa.
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