Se non conoscete PewDiePie, dove avete vissuto fino ad oggi?! Scherzi a parte, è da lui che dobbiamo partire per capire la genesi della crisi YouTube che sta imperversando in questi giorni sulla piattaforma di proprietà di Google. È notizia ormai di diverse settimane fa che Felix Arvid Ulf Kjellberg, per gli amici PewDiePie, ha dovuto affrontare un’enorme polemica partita dal Wall Street Journal ma che ha fatto poi il giro di tutto il mondo. D’altronde, si trattava di una sorta di accusa di “antisemitismo” ai danni dello youtuber svedese, argomento sempre alquanto scottante per i media (e non solo).
Ma la storia non finisce qui. Infatti, ricollegandosi a questa storia i media hanno puntato il dito verso YouTube ma soprattutto verso gli inserzionisti pubblicitari, accusando essi di piazzare le proprie pubblicità in video di natura controversa. Come era preventivabile, questa mossa da parte del WSJ è stata interpretata da molti creators come un attacco mascherato al web. Questo è dovuto al fatto che questi contenuti ritenuti controversi spesso e volentieri altri non erano altro che video di satira, con black humour o comunque non volutamente offensivi. Insomma, non stiamo parlando di censura, ma comunque di una mossa fondamentalmente contraria ai fondamenti di internet, quelli di un posto dove ci sia spazio anche per prodotti non necessariamente family friendly.
E qui nasce un problema: che direzione deve prendere YouTube? Queste accuse finiranno nel dimenticatoio o avranno delle effettive ripercussioni? Per la sfortuna di molti, queste vicissitudini hanno portato uno sponsor della caratura di Disney a decidere di rescindere i propri accordi con PewDiePie, il quale ha visto anche la cancellazione della propria serie su YouTube Red. Di conseguenza, non ci è voluto molto prima che numerosi sponsor di rilievo decidessero di iniziare a fare pressioni su YouTube, obbligandolo a porre rimedio a tutto ciò.
Ecco, quindi, che da un giorno all’altro numerosi youtubers si sono visti diminuire le proiezioni di profitto del proprio canale di percentuali incisive e, per alcune realtà minori, fondamentali al sostentamento lavorativo. In questi giorni, infatti, il social video ha deciso di attuare un cambiamento decisamente rilevante, in quanto si tratta di suddividere i video caricati in “contenuti neutrali” e “contenuti controversi“. In fase di upload gli utenti dovranno decidere in quale delle due categorie far rientrare i propri lavori, con un algoritmo che poi si occuperà autonomamente di controllare i video e, eventualmente, far calare più o meno pesantemente i guadagni, se non direttamente disattivare la monetizzazione.
E se inizialmente sembrava che ciò avrebbe colpito quasi esclusivamente i creatori di video critica, vlog ed affini, la crisi starebbe ricadendo anche sui gamers, solitamente associati a video di natura più leggera. È il caso del nuovo Call of Duty WWII, titolo videoludico attesissimo ma che, essendo basato sulla Seconda Guerra Mondiale, diventerà un’arma a doppio taglio per chi vorrà creare gameplay su di esso. A denunciare il fatto è PrestigeIsKey, gamer specializzato in FPS ed argomenti bellici, anch’esso vittima di un calo notevole dei propri guadagni.
Alla luce di tutto ciò, cosa accadrà ad YouTube? Questa crisi potrebbe portare veramente alla morte del sito, visto che già in diversi volti noti si stanno piano piano spostando su altre piattaforme come il diretto rivale Twitch? Oppure le nuove politiche di YouTube, espandendosi anche alle altre piattaforme, potrebbero costringere i creators a rivedere il proprio stile e target? Se voleste approfondire l’argomento, vi lasciamo un video in cui Shy di Breaking Italy spiega la situazione. Se masticaste l’inglese, vi linkiamo anche un video di H3H3, noto youtuber americano.
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