La frammentazione è da sempre uno dei grandi limiti di Android OS, questa volta però, Google sembra aver intenzione quantomeno di limitarla con le Android Extensions.
Partiamo dal principio: cosa intendiamo quando parliamo di frammentazione? Principalmente ci riferiamo alla spaventosa quantità di versioni diverse dell’OS presenti su tutti gli smartphone in possesso dei consumatori e alle differenti personalizzazioni proposte dai vari brand.
In parole povere, è il motivo per il quale ci sono ancora terminali che girano con Android 2.2 Froyo quando è da poco stato rilasciato Android 7.1 Nougat.
Le cause della frammentazione non sono molto difficili da identificare.
Una tale disparità nei dispositivi si verifica perché Android è un OS open source, in pratica ai produttori è permesso (entro certi limiti) di utilizzare il codice sorgente a proprio piacimento, rendendosi responsabili degli update futuri.
Ed è qui che si verifica il problema principale. Non tutti i produttori aggiornano i propri prodotti regolarmente, soprattutto quelli più datati, e anche quando lo fanno, alcune versioni di Android installate sui loro device potrebbero essere così pesantemente modificate da non risultare più così ottimizzate.
Nel suo documento “Definizioni di compatibilità” (una lista di requisiti e raccomandazioni che i produttori devono seguire per installare Android sui propri device) del 25 ottobre 2016, Google ha aggiunto una nuova sezione relativa alle “Android Extensions“.
Un’interessante riflessione su quanto appena letto sulle Android Extensions ci viene fornita da Ron Amadeo di Ars Technica:
“Extending the managed APIs while keeping the same API level version sounds a whole lot like what Google Play Services does today.”
In pratica le Android Extensions sarebbero l’equivalente dei Google’s Play Services, in ambito AOSP (Android open source project), ovvero, Google potrebbe utilizzare le Android Extensions per estendere le Android APIs, senza però dover forzare l’aggiornamento di un’intera ROM.
I file riguardanti le Android Extensions sono già presenti sul Google Pixel, sull’LG V20 e sul Huawei Mate 9 e, anche se non sono state ancora utilizzate, la loro semplice presenza su questi device significa che Google sarà in grado di aggiungere nuove features o aggiornare delle funzionalità attraverso il Play Store.
Questo, in teoria, potrebbe portare a un decremento della frammentazione, migliorare la sicurezza di sistema e rendere l’ecosistema Android più consistente.
Per approfondire la questione, vi invitiamo a leggere l’articolo di Ron Amadeo su Ars Technica.
Vi ricordiamo che seguirci è molto semplice: tramite la pagina ufficiale
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