La scorsa settimana vi abbiamo parlato dei nuovi supercondensatori che, secondo l’University of Central Florida, sono candidati ideali a sostituire le attuali batterie al litio. La ricerca scientifica, tuttavia, è molto attiva anche nel campo delle batterie nucleari, sistemi non ricaricabili in cui l’energia emessa da un mezzo radioattivo è trasformata in elettricità.
Questa tecnologia, apparentemente futuristica, è in realtà già conosciuta e sfruttata da tempo: negli anni 70 del secolo scorso furono impiantati diversi pacemaker alimentati da Betacel e l’attenzione dell’industria da quel momento non si è mai sopita.
In questo contesto, un team di ricerca dell’Università di Bristol ha da poco presentato l’idea, tanto semplice quanto rivoluzionaria, di sfruttare una sorgente in C14 ricavata dalla dismissione delle barre moderatrici in grafite delle vecchie centrali nucleari.
Il carbonio radioattivo, secondo gli studi dei ricercatori, è concentrato sulla parte più esterna delle barre di grafite (cioè quella più esposta al materiale fissile). È quindi possibile con relativa semplicità ottenere buone quantità di materiale radioattivo da utilizzare come sorgente per la batteria nucleare. Il carbonio andrebbe dunque inserito in un diamante sintetico che, senza parti in movimento o reazioni chimiche, produrrebbe elettricità betavoltaica.
I vantaggi della scelta del C14 sono numerosi. In primo luogo l’isotopo è un emettitore beta molto debole, e la radiazione emessa può quindi essere facilmente fermata a tutto vantaggio della sicurezza. Le batterie poi aiuterebbero a smaltire una parte delle scorie nucleari, riducendo i costi di dismissione delle centrali. L’isotopo, infine, ha un’emivita di 5730 anni, mentre il diamante non si logora se sottoposto a radiazioni tanto deboli. Queste due caratteristiche potrebbero permettere alle batterie realizzate in C14 di funzionare per secoli conservando in sicurezza la sorgente radioattiva per millenni.
I ricercatori non hanno ancora prodotto un prototipo in C14, ma hanno già dimostrato con una sorgente in nickel-63 che il diamante è adatto alla produzione di energia betavoltaica. La tecnologia non è comunque priva di aspetti negativi, su tutti un costo di produzione, prevedibilmente elevato (la sintesi del diamante artificiale richiede molto tempo ed energia).
La densità di potenza, per concludere, sarà molto bassa, rendendo queste batterie nucleari inadatte all’uso mobile. Il team di ricerca sostiene, in particolare, che in un giorno una batteria con 1 grammo di carbonio radioattivo potrà produrre circa 15J, mentre con un uso moderato nello stesso periodo uno smartphone moderno ha consumi nell’ordine di 30000J. Da questo si capisce come queste batterie nucleari sarebbero adatte, qualora arrivassero davvero sul mercato, solo ad applicazioni in cui è richiesta la massima continuità operativa. Applicazioni spaziali e militari, dunque, ma anche mediche.
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