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Come funziona una power bank: viaggio tra i componenti

La diffusione degli smartphone ha modificato profondamente il nostro modo di affrontare la vita, rendendo più “smart” molte azioni quotidiane. Grazie a questi piccoli amici, infatti, oggi possiamo accedere ovunque alla rete ed alle sue tante possibilità: giornali, negozi, giochi, social e servizi di ogni genere sono sempre a portata di tap. Ogni azione, tuttavia, ha il proprio costo energetico, e l’autonomia dei dispositivi moderni rischia spesso di non essere sufficiente. Per questo esistono le power bank

Queste utili alleate di smartphone e tablet sono in realtà un’invenzione abbastanza recente. Dobbiamo ricordare infatti che durante l’adolescenza della telefonia mobile, segnata da cellulari dotati di un piccolo schermo monocromatico e batteria rimovibile da circa 1000 mAh, il caricabatterie non aveva la stessa rilevanza che ha ottenuto in seguito.

Anche l’epoca dei primi smartphone, poi, non ha visto un’immediata diffusione delle power bank. In un primo momento ad esempio molte aziende puntarono, con poca convinzione, sulle cover con batteria integrata. Il sacrificio estetico non fu tuttavia gradito alla maggior parte dei consumatori, che spesso preferirono affidarsi a batterie di ricambio. Furono le stesse esigenze estetiche a costringere i produttori a dotare sempre più spesso i propri dispositivi di batterie non rimovibili, sancendo infine la definitiva diffusione delle power bank.

Questi utili accessori sono ormai per molti una fonte indispensabile di energia e sicurezza. Ci sembra dunque normale che i più curiosi si domandino quali siano i loro principi di funzionamento.

Viaggio nel cuore di una power bank: la batteria

Il compito fondamentale di una power bank è quello di sostituire, in assenza di una presa elettrica, il caricatore da muro. Agli occhi di uno smartphone, dunque, i due accessori devono risultare indistinguibili, mentre l’indipendenza energetica dalla rete nazionale deve essere assicurata da una batteria integrata.

Quest’ultimo componente è quasi sempre basato sulla stessa tecnologia agli ioni di litio utilizzata nel resto dei dispositivi mobile di ultima generazione, ma differisce spesso per forma o configurazione dalle batterie utilizzate nei nostri smartphone. Accanto alle celle prismatiche di grandi e piccole dimensioni, infatti, troviamo anche accumulatori cilindrici come i 18650. Non sono rare, poi, le configurazioni con più celle in serie o in parallelo.

Power bank con batterie 18650 in parallelo
Power bank con batteria prismatica

La batteria ha il compito di accumulare l’energia che servirà a ricaricare i nostri dispositivi. La sua capacità è dunque direttamente collegata all’autonomia che le nostre power bank possono garantirci, ed è uno dei valori dichiarati da tutti i produttori.

Il vero valore dei mAh

A questo punto dobbiamo chiarire, tuttavia, il vero significato di tale dato. L’utente meno esperto, infatti, potrebbe pensare che sia sufficiente acquistare una power bank della stessa capacità della batteria del proprio device per assicurare a quest’ultimo una ricarica completa. Purtroppo tale ragionamento intuitivo è del tutto falso. È necessario considerare, infatti, che il processo di ricarica implica delle perdite.

In primo luogo la batteria della powerbank, come vedremo più avanti, non può essere collegata direttamente al device da ricaricare. Questo implica che tra i due siano presenti dei circuiti che, naturalmente, hanno bisogno di energia per funzionare. Le perdite imputabili a tali elementi sono di solito nell’ordine del 10-15%.
La tecnologia al litio, inoltre, prevede un’efficienza sul ciclo che varia a seconda della velocità di scarica. A correnti superiori, in particolare, corrispondono maggiori sprechi. Le power bank più capienti tuttavia sono meno affette da questo problema, che varia molto in base alla qualità delle celle. Questo effetto è visibile nel grafico sopra riportato, tratto da un datasheet. Il circuito di ricarica interno allo smartphone, infine, introduce altre importanti perdite.

Per ottenere un’idea realistica della situazione abbiamo quindi effettuato in laboratorio delle misure su alcune power bank di buona qualità. Dai nostri test, in particolare, risulta che il rapporto tra la capacità ricaricata e quella dichiarata è circa 0,65. Questo significa che per ricaricare totalmente un device da 3000mAh è necessaria una power bank da poco meno di 5000mAh. Tali valori potrebbero naturalmente variare in base alla configurazione utilizzata e dal device da ricaricare, ma li riteniamo abbastanza affidabili.

I circuiti di output

I nostri dispositivi si aspettano di dialogare con un caricatore compatibile con determinati protocolli, che possono essere semplici come il diffusissimo USB o ben più complicati come i più performanti Quick Charge e Pump Express. Tutti gli standard, comunque, richiedono che la tensione erogata sia stabile e di solito maggiore di quella di una cella al litio.

È necessario, dunque, che all’interno delle power bank ci sia un circuito che stabilizzi la tensione al valore desiderato. Nel caso dello standard USB saranno quindi richiesti 5V, mentre i protocolli di ricarica rapida lavorano spesso a tensioni superiori.

Tale compito è svolto da circuiti di conversione DC-DC, che possono essere di tipo diverso a seconda della configurazione delle batterie. Ricordiamo, infatti, che la tensione di una singola cella al litio oscilla tra i 3,7 V ed i 4,2 V. Tali valori, naturalmente, aumentano in caso di configurazioni in serie.

Nel caso sia presente una sola cella, dunque, ci aspettiamo uno step up (boost) che innalzi la tensione. In presenza di più celle in parallelo, invece, è prevedibile l’aggiunta di un circuito che bilanci la scarica delle celle per evitarne una morte prematura. Nel caso (meno diffuso) di celle in serie, invece, sarà necessario abbassare la tensione della batteria. Il circuito sarà quindi di tipo buck (o buck-boost), mentre i regolatori lineari sono meno diffusi a causa della scarsa efficienza.

Accanto ai circuiti DC-DC in tutte le power bank di qualità troveremo poi dei circuiti di sicurezza. Questi si occupano di controllare temperatura e tensione della batteria, oltre a corrente e tensione dell’output sulla USB. Nel caso in cui uno di questi parametri non rientri nel range di lavoro il sistema di sicurezza bloccherà il funzionamento della power bank. Un microcontrollore, infine, può essere necessario per il supporto alle tecnologie di ricarica rapida.

Anche le power bank vanno ricaricate: i circuiti di input

Le batterie hanno la sola funzione di accumulare energia, il che vuol dire che una volta scariche vanno ricaricate. Le celle al litio, che pure hanno molti vantaggi sulle NiMH e su quelle al piombo (effetto memoria e peso su tutti), sono tuttavia molto delicate e necessitano di un sistema raffinato di ricarica.

Il ciclo prevede che le batterie siano caricate fino al 60-70% della capacità massima a corrente costante, e che la ricarica sia conclusa a tensione costante. Il grafico risultante è quindi del tipo che vedete in figura.

Anche i circuiti di ricarica, inoltre, sono pensati in funzione della batteria integrata nella power bank. Nel caso di celle in parallelo, ad esempio, è consigliabile la presenza di un sistema di bilanciamento degli accumulatori. Nelle power bank più capienti, invece, è spesso presente un sistema di ricarica rapida o una porta custom. Entrambe le soluzioni, infatti, permettono di abbattere i tempi di ricarica (di solito sfruttando tensioni in ingresso superiori ai 5V).

Funzionalità aggiuntive

Accanto ai circuiti indispensabili finora elencati troviamo di solito alcune utili funzioni accessorie. Il device descritto finora sarebbe infatti perfettamente funzionante, ma non darebbe modo, ad esempio, di prevedere la sua autonomia residua.

La maggior parte delle power bank prevede quindi un sistema di indicatori che comunichi all’utente il livello della batteria. Nel caso più semplice ci troveremo quindi di fronte ad un sistema a fasce, in cui l’accensione di alcuni led (o il loro cambiamento di colore) indica a grandi linee l’energia immagazzinata dalla batteria sia in fase di ricarica che in quella di scarica.

Nei dispositivi più evoluti questa funzione può essere svolta con maggiore precisione da un piccolo pannello LCD. Misurando corrente e tensione ai capi della batteria, inoltre, questi prodotti possono spesso predire, a seconda dell’uso, il tempo necessario a completare la ricarica o ad esaurire la capacità residua.

Molte power bank, infine, includono un piccolo LED di potenza che, in caso di necessità, le trasforma in torce dalla grande autonomia. In casi più rari invece si possono trovare sistemi di ricarica wireless (ritenuta spesso poco utile dai consumatori) o altri accessori.

Si conclude così la nostra panoramica sugli elementi che costituiscono il cuore di una power bank. Qualora siate interessati ad approfondire il funzionamento delle batterie e dei sistemi di ricarica rapida, infine, vi ricordiamo che tali argomenti sono già stati affrontati in dettaglio nella rubrica “Tecnologia e Futuro” su GizChina.it, il nostro portale gemello specializzato sulla telefonia cinese.

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